mercoledì 26 marzo 2008

La visione posizionale


Voglio riportare di seguito un brano tratto dall’interessante saggio di Salvatore Bartolotta dal titolo Un approccio euristico alla strategia, alla storia della strategia ed alla didattica degli scacchi: gli assiomi strategici come concezioni ed estacoli. Mi siano concesse alcune piccole modifiche alla forma originale, più che altro la correzione di semplici refusi.

“La visione posizionale del giocatore di scacchi si forma lentamente, in seguito ad una lunga ‘educazione posizionale’: attraverso la lettura dei classici, attraverso lo studio della teoria delle aperture, cioè di un complesso organico e sistematico di numerose partite, attraverso l’assimilazione dei temi tattici e delle leggi strategiche, di finali tipici, ecc. ed è frutto di una lunga educazione a ‘pensare bene’ (ed a chiedersi il perché delle cose), piuttosto che frutto di un puro e semplice accatastamento di vari dati (del tutto inutile ed improduttivo). Detta visione posizionale è eminentemente sintetica, ed è la capacità di cogliere rapidamente le sfumature e le possibilità più riposte di una posizione, ed è anche la capacità di formulare i piani di gioco più incisivi per affrontarla. E’ pur vero che lo scacchista esperto conosce un certo numero di posizioni o ‘tabi’ notevoli, su cui ha lungamente ed accuratamente meditato, e possiede una certa rapidità e profondità di analisi. Questa conoscenza (in continuo aggiornamento), tutt’altro che mnemonica, lo aiuta ad orientarsi nella lotta sulla scacchiera, ed è su detta conoscenza che si costruisce ed affina quello che gli scacchisti chiamano senso della posizione. Quanto sia efficace il senso della posizione nella conduzione della partita è stato icasticamente dimostrato da G. Kasparov nella famosa sfida del ’96 contro il supercalcolatore Deep Blue, autentico mostro di capacità analitiche: sebbene Kasparov non fosse in grado di competere con la macchina nel puro calcolo delle mosse (varianti), la sua capacità di valutazione (di 'sentire' la posizione) si è rivelata decisiva. In altre parole una macchina come Deep Blue è per così dire un gigante miope; la sinergia di intelligenza e cultura scacchistica si è sinora dimostrata vincente, e vi è ragione di credere che il primato dell’uomo nel gioco degli scacchi possa essere intaccato solo da macchine capaci di simulare in qualche modo i processi di pensiero umani (e dunque di pensare ed apprendere come gli umani). È appena il caso di osservare che gli studi sull’intelligenza artificiale traggono vantaggio e preziose indicazioni da queste sfide, e che si è venuta delineando una nuova disciplina, la Computer Chess, branca della Computer Science (settore dell’Informatica). Il gioco degli scacchi, per la sua intrinseca complessità, ricorda quei sistemi fisici che, sebbene soggetti a precise (deterministiche) leggi matematiche (equazioni differenziali ben note) , esibiscono un comportamento estrinsecamente caotico. E’ ben noto il problema di tre corpi interagenti gravitazionalmente, e delle relative orbite caotiche; sono ben noti i problemi della meteorologia, e più in generale i problemi dei sistemi non lineari e di dinamica complessa (frattali, annessi e connessi). Le dimensioni dell’universo scacchistico, come si è visto, sono fantastiche, degne della ‘teoria del caos’, e gli assiomi della strategia ne sono, in un certo senso, l’elemento ordinatore.”

Per chi volesse approfondire l'argomento, qui è possibile scaricare gratuitamente il saggio di Bartolotta in pdf.

2 commenti:

Fede ha detto...

Starei a guardarti sempre, ma so che sembrerei uno stupido e un sognatore e che tu non capiresti. Vorrei anche solo incrociare il tuo sguardo facendoti capire, e che mi sorridessi come non fai con gli altri. Ma rimani inconosciuta e pubblica come il quadro nel museo, parvenza la cui anima non si tocca. Piccola cosa bella che non necessita di luce.

Anonimo ha detto...

...perchè guardarti è felicità e dolce sofferenza :)