venerdì 14 marzo 2008

Strategia contro Tattica


È molto interessante la definizione di strategia che Mario Leoncini dà nel suo breve saggio Elementi di strategia negli Scacchi. Voglio riportarne alcuni stralci su questo blog:

“Se la tattica è lo sfruttamento combinativo di una debolezza e la tecnica è la capacità di vincere una partita considerata vantaggiosa, la strategia è il piano di gioco. Qualcuno, in modo divertente quanto efficace, ha sintetizzato la differenza tra strategia e tattica dicendo: la tattica è sapere che cosa fare quando c’è qualcosa da fare e la strategia è sapere che cosa fare quando non c’è niente da fare.

La strategia ha per scopo la formazione di debolezze tali da poter essere sfruttate con colpi tattici o in sede tecnica.La sua formulazione deve naturalmente tener conto di tutti gli elementi presenti sulla scacchiera che però, beninteso, varia al variare della posizione. Non è quindi possibile formulare un piano unico valido per tutte le stagioni ma è anche vero che, data una posizione, talvolta possono formularsi più piani. La scelta del piano dipende allora dall’indole del giocatore ma non si possono formulare piani che non tengano conto degli elementi strategici presenti nella posizione. Un altro errore comune è credere che la differenza tra un maestro e un principiante risieda nella capacità di calcolo; certo, un bravo giocatore è capace di calcolare con precisione anche lunghe varianti; ma la superiorità è soprattutto di ordine strategico. Il maestro sa che cosa fare in qualsiasi posizione senza bisogno di calcoli approfonditi. La formu-lazione di un piano riduce drasticamente la necessità del calcolo delle varianti; in questo senso nel corso della partita il maestro può calcolare meno di un principiante ma vincere lo stesso. E’ per questo che i forti giocatori possono giocare contro molti avversari contemporaneamente in simultanea e batterli."

Qui si può scaricare il manuale di Leoncini in formato pdf.

1 commento:

Fede ha detto...

Era una melodia, era un alito? Qualche cosa era fuori dei vetri. Aprii la finestra: era lo Scirocco: e delle nuvole in corsa al fondo del cielo curvo (non c'era là il mare?) si ammucchiavano nella chiarità argentea dove l'aurora aveva lasciato un ricordo dorato. Tutto attorno la città mostrava le sue travature colossali nei palchi aperti dei suoi torrioni, umida ancora della pioggia recente che aveva imbrunito il suo mattone: dava l'immagine di un grande porto, deserto e velato, aperto nei suoi granai dopo la partenza avventurosa nel mattino: mentre che nello Scirocco sembravano ancora giungere in soffii caldi e lontani di laggiù i riflessi d'oro delle bandiere e delle navi che varcavano la curva dell'orizzonte. Si sentiva l'attesa. In un brusìo di voci tranquille le voci argentine dei fanciulli dominavano liberamente nell'aria. La città riposava del suo faticoso fervore. Era una vigilia di festa: la Vigilia di Natale. Sentivo che tutto posava: ricordi speranze anch'io li abbandonavo all'orizzonte curvo laggiù: e l'orizzonte mi sembrava volerli cullare coi riflessi frangiati delle sue nuvole mobili all'infinito. Ero libero, ero solo. Nella giocondità dello Scirocco mi beavo dei suoi soffii tenui. Vedevo la nebulosità invernale che fuggiva davanti a lui: le nuvole che si riflettevano laggiù sul lastrico chiazzato in riflessi argentei su la fugace chiarità perlacea dei visi femminili trionfanti negli occhi dolci e cupi: sotto lo scorcio dei portici seguivo le vaghe creature rasenti dai pennacchi melodiosi, sentivo il passo melodioso, smorzato nella cadenza lieve ed uguale: poi guardavo le torri rosse dalle travi nere, dalle balaustrate aperte che vegliavano deserte sull'infinito.